Sulla scia del fermento del lancio del fondo Atlante, con le inevitabili voci a favore e scettiche che si sono levate, avrei un quesito. Il fondo Atlante da 6 miliardi è pronto a rilevare non performing loan (oggi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan ha indicato che con l’effetto leva potrà arrivare a 50 miliardi) a valori allineati il più possibile a quelli attuali di libro e cioè attorno al 40 per cento del nominale a seconda delle diverse banche: insomma, più o meno allineati ai valori del sistema bancario che le ha a bilancio al 44% del valore originario. Ma mi chiedo: per le 4 banche liquidate nell’autunno scorso (Etruria, Marche, Carife e Carichieti) 8,5 miliardi di sofferenze sono state svalutate al 17% e rotti del loro valore nominale con il decreto salva-banche del 22 novembre. In questo caso, di fronte anche alle riserve di alcune associazioni di risparmiatori coinvolti nei bond subordinati che hanno lamentato un’eccessiva svalutazione, l’indicazione del 17% e rotti del nominale è stata giustificata con la necessità di portare in porto il più velocemente possibile la ristrutturazione delle 4 banche liquidate. Anche su indicazione dell’Unione europea. Di sicuro, però, se quegli 8,5 miliardi fossero stati valutati un po’ di più (invece che al 17,5%) si sarebbero liberate risorse utili anche per rimborsare i risparmiatori. Insomma, in parole povere, qualcuno mi dovrebbe spiegare perché ora si sta facendo tanto clamore sul fatto che gli Npl italiani devono essere valutati al 40%, quando solo pochi mesi fa quelli di Etruria, Marche e compagnia sono stati valutati (con il via libera istituzionale) al 17 e rotti.
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